fiori kabul

Gli alunni della III B dell’IC Tommaso Aversa di Mistretta intervistano Gabriele Clima, autore del libro “Fiori di Kabul”

Attraverso una mail gli studenti hanno intervistato lo scrittore del libro in cui parla della condizione femminile in Afghanistan

28 Aprile 2023 18:04

Durante le ore di Geografia noi alunni della classe 3^B della secondaria di I grado, dell’Istituto Comprensivo Tommaso Aversa di Mistretta, abbiamo approfondito le tematiche sulla condizione femminile nei Paesi del Medio Oriente.

L’insegnante ci ha proposto la lettura di Fiori di Kabul di Gabriele Clima, che narra la storia di una ragazza proveniente da una famiglia tradizionale afgana alla quale viene negata ogni forma di libertà, ma tutto cambia quando vede, vicino casa, una donna in bicicletta.

Dopo aver letto il libro ci siamo confrontati e posti delle domande alle quali era davvero difficile rispondere. Per questo abbiamo deciso – e ne siamo stati ben lieti – di inviare una mail all’autore del libro sperando in una sua risposta, che con grande stupore è arrivata. Ciò che ha scritto ci ha arricchito tanto da decidere di renderlo pubblico e condividerlo.

Di seguito riportiamo lo scambio di mail con l’autore.

Il testo della nostra mail:

Gentilissimo Gabriele Clima,

siamo gli alunni della classe 3B della Scuola di I grado “T.Aversa” di Mistretta, in prov. Di Messina, e abbiamo letto il suo romanzo Fiori di Kabul. Ne è scaturito un dibattito e ci siamo confrontati esponendo le nostre riflessioni sorte dalla lettura.

L’insegnante di Geografia ci ha proposto questo libro per approfondire la realtà dell’Afghanistan e la condizione della donna. Pertanto, molte sono state le domande che ci siamo posti, alle quali abbiamo provato a rispondere. Ma siamo stati ben lieti e concordi nel pensare di contattarla scrivendo questa e-mail.

Ci complimentiamo per il suo romanzo e le siamo grati, come lettori ‘non forti’ – alcuni di noi per la prima volta hanno letto il suo libro come primo romanzo – per averci regalato questa storia che ci ha coinvolto e appassionato.

Abbiamo apprezzato molto il personaggio di Maryam, i suoi pensieri e il suo coraggioso agire; molti anche i colpi di scena che ci hanno stupito. Alcuni di noi sono rimasti un po’ amareggiati per il finale: avremmo preferito che la protagonista scappasse insieme al fratello e la madre; altri, tra noi, non si aspettavano un finale aperto e speravano in un finale coinvolgente ed emozionante.

Ci chiediamo, inoltre, se ha pensato di dare un seguito al romanzo con una nuova storia che sia la continuazione. A noi lettori piacerebbe conoscere la Maryam adulta e come avrebbe svolto la sua vita da grande. A sua volta, ci chiediamo come mai il tema dei diritti delle donne, che affiora prepotente nella storia, le è così caro tanto da spingerla a scrivere questo romanzo. Tra le tante domande, ci siamo anche chiesti perché la figura del padre è delineata con un carattere così duro nei confronti della figlia e della moglie (quasi impossibile immaginarlo!) e perché ha scelto di affidare al fratello di Maryam un ruolo maschile positivo.

Le siamo davvero grati se vorrà rispondere alle nostre domande e dedicarci del tempo.

La mail di risposta dell’autore:

Buongiorno a tutti voi, ragazzi, mi scuso innanzitutto per avervi fatto aspettare così tanto, ma purtroppo sono tantissime le e-mail che ricevo e gli impegni che riempiono la vita di uno scrittore, anche se si potrebbe pensare che sia una professione, la scrittura, che concede tempi e spazi ampi e distesi. Ahimè non è così.

Che dire, grazie davvero per il vostro entusiasmo, sono contento di aver accompagnato alcuni di voi attraverso la prima lettura di un libro (caspita, che responsabilità!). Cercherò di rispondere in ordine alle domande che mi avete posto.

Cominciando dal finale, eh sì, il finale aperto delude molti di voi, lo so, quasi tutti a dire il vero, eppure è l’unico finale che mi sento di offrire quando scrivo una storia. Ho pensato a lungo al perché: perché adoro i finali aperti a tal punto che decido ogni volta di andare contro a quello che so essere il desiderio della maggior parte dei lettori, cioè un finale netto e definito, del tipo Maryam farà questo, Samira farà quello, fine della storia. Il punto è proprio questo, una storia non finisce, nessuna storia in verità, e non parlo solo di quelle scritte, dei romanzi, parlo della nostra vita reale. Possiamo davvero dire che una storia si concluda? Che le cose che abbiamo fatto, le nostre scelte, le nostre risoluzioni, le strade che abbiamo deciso di non imboccare siano capitoli chiusi della nostra vita? Tutto ciò che è avvenuto prima di oggi ha lasciato e lascerà sempre delle tracce in noi, e in parte, in larga parte in alcuni casi, determinerà quello che faremo domani. Ogni persona il cui cammino abbiamo incrociato, positiva o negativa, è ancora presente in noi, nel bene o nel male, e influisce sui nostri comportamenti e sulle nostre scelte future. Questo non vuol dire che siamo prigionieri del passato, ma che il passato influisce sul nostro presente, e saperlo ci dà consapevolezza e possibilità in più. Nessuna storia si chiude veramente, e siccome, per ritornare al libro, voglio che la mia scrittura rappresenti la realtà, ecco che la scelta diventa obbligata: finale aperto, sempre; è inevitabile. Anche perché, se davvero avete amato la mia storia, col mio finale aperto vi do la possibilità di continuarla, di prendere su di voi la missione di Maryam, il suo entusiasmo, la sua straordinaria forza di non fermarsi mai, la sua gentile determinazione nel dare ali ai propri sogni; il mio finale aperto vi dà la possibilità di essere voi Maryam, non in Afghanistan, ma qui, ora, in Italia, nella vostra città. Ci siete voi, ora, su quella bicicletta, deciderete voi, non io, cosa fare di quella bicicletta nel prossimo futuro. 

Riguardo a un eventuale prosieguo del libro, be’, me lo chiedete in molti, in effetti. Sì, forse mi piacerebbe riprendere i fili lasciati pendenti in Fiori di Kabul. Samira, per esempio, che fine fa, o Hamid, o la madre, riuscirà la madre a rompere quella catena (mentale, sociale, culturale) che la tiene prigioniera? Sì, mi piacerebbe riprendere la storia, magari un giorno lo farò. Sappiate però che anche questa, ahimè, avrà sicuramente un finale aperto 🙂

Sul tema dei diritti delle donna, be’, sono particolarmente sensibile. Al di là del fatto che considero la donna una creatura quasi divina (ma non solo io, pensate che, nella mitologia greca, all’inizio dei tempi la donna era stata fatta non con una costola dell’uomo, come nella cultura cristiana, ma col fuoco, che l’uomo non possedeva ed era esclusivo dominio degli dei. Ancora oggi la donna mantiene al suo interno quel fuoco divino, terribile e meraviglioso che all’uomo infatti fa così paura). Al di là di questo, che è una questione culturale, considero la violazione di diritti uno dei maggiori crimini che si possano commettere contro l’umanità, e questo è un fatto di civiltà.

Non solo diritti della donna, ma di tutte le persone a cui i diritti vengono sottratti, le persone omosessuali o transessuali (pensate alle leggi che si stanno cercando di promulgare per tutelarle), o i bambini (pensate al lavoro minorile), o i lavoratori (pensate ai raccoglitori, agli immigrati, ai rider o ai neodiplomati pagati a volte meno di tre euro all’ora), o le persone di colore (ancora soggette oggi a discriminazione violenta di stampo razzista). La battaglia per i diritti coinvolge e interessa tutti, perché coinvolge e interessa l’intera società. E una battaglia sociale ha successo solo se è collettiva. 

Direi che il padre di Maryam incarna appieno questa pensiero pernicioso (se non sapere cosa vuol dire pernicioso cercatelo sul vocabolario :-), ovvero il non riconoscere diritti. È quello che si chiama pensiero fondamentalista (che attenzione, non dipende da una religione, ma da un modo di essere), cioè un pensiero che pone se stesso a fondamento del mondo. E quando incontra un pensiero diverso dal suo, culturalmente o ideologicamente, l’unica cosa che può fare è sopraffarlo. Se ci pensate, però, non è qualcosa che accade solamente in Afghanistan e in ambito religioso.

Questo pensiero lo troviamo quasi ogni giorno anche qui in Italia, ed è quello di un uomo che picchia una donna, o di un razzista che insulta una persona di colore, o di un omofobo che manda all’ospedale un ragazzo incontrato per la strada soltanto perché è gay. La storia di Maryam, a tinte così accese, vi dà la possibilità di riconoscere questo tipo di pensiero dovunque avvenga nel mondo, di scovarlo e di disinnescarlo. Sapete chi sta già cercando di disinnescare il pensiero fondamentalista? Proprio voi, voi giovani, voi nuove generazioni. Il personaggio di Hamid è reale, ho intervistato tanti ragazzi afghani che si stanno opponendo, non con la violenza ma con la cultura, al fondamentalismo di una classe dominante, politica o culturale. Per questo ho affidato ad Hamid una parte forse marginale nella storia ma importantissima nel cambiamento.

Noi uomini possiamo fare molto per contrastare un pensiero che purtroppo è tipico maschile (anche se a volte si trova anche nelle donne, ma è molto più raro). Più in generale, voi giovani siete più consapevoli di noi adulti dei pericoli della società di oggi, delle costrizioni sociali, della violenza dilagante, o dell’inquinamento inarrestabile.

Pensate alla «rivoluzione dei capelli delle studentesse in Iran che combattono per la propria libertà di espressione, o agli studenti che in America si battono contro i produttori di armi (che in virtù delle leggi americane possono vendere armi nei supermercati anche ai diciannovenni), o ai “Fridays for Future”, in tutto il mondo, nati dalla protesta di Greta Thunberg, che cercano di contrastare la corsa di un’economia che vede nel pianeta risorse da sfruttare e non equilibri da conservare. Ecco, io sono in prima linea anche con voi, nelle battaglie che oggi state cercando di combattere.

Insomma, come avrete capito, ho messo in questa storia molto più di quanto possa emergere ad una prima lettura. Forse scrivo storie per capire meglio il mondo e, perché no, migliorarlo dove posso. Di certo scrivo per capire meglio i fatti, me stesso, e il mio ruolo costante nella società contemporanea. Ghandi diceva: «Be the change you wont to see in the world”. Be’, nel mio piccolo, cerco di esserlo con i miei libri.

Un abbraccio a tutti voie ancora grazie. Spero possiate leggere qualche altra mia storia. 

Con affetto

Gabriele Clima”

Che dire!? Le sue parole sono state per noi inaspettate, perché pensavamo che si soffermasse solamente alla risposta, invece non è stato così. Sono arrivate per noi parole come lezioni di vita, pensieri di una persona abituata ad ascoltare gli altri con tanto interesse, anche se hanno fatto da tramite uno schermo e una tastiera.

Così abbiamo imparato molto più di quanto potessimo fare da soli, perché ci siamo confrontati con una persona che scrive in maniera diversa da noi: questo ci ha aiutato a crescere. Lo scrittore ci ha parlato dei diritti di tutti, nessuno escluso, stuzzicando la nostra riflessione.

Non poteva darci messaggio più profondo. Questo dimostra la bellissima persona che è e la capacità di trattare temi così importanti con i ragazzi.

Noi alunni speriamo di incontrarlo e di potergli rivolgere ancora le nostre domande, ma soprattutto di poter ascoltare le sue risposte, perché ciò che ha scritto ci ha riempito il cuore di gioia.

Mail: Studenti Classe IIIB scuola secondaria I Grado IC Tommaso Aversa Mistretta

Testo: Nicole Mugavero – Samuele La Ganga